Ottobre

“Se a ottuber el pioeuv e l’trona per l’inverno l’è ancamò bona”

Due erano i momenti all’attenzione dei “paisan” in Ottobre: la semina e la raccolta dei frutti autunnali.


“Ul sumeneri” del grano era un’attività agricola rilevante che costituiva la base per la raccolta dell’anno successivo: i proverbi per questa operazione non mancano. “Per santa Teresa (15 ottobre) se sumena a distesa”; “ O bagnàa o succ, per san Luca (18 ottobre) se sumena tucc”; “Per san Fiurenz (27 del mese) mett via i sumenz”.
Per seminare occorreva concimare il terreno utilizzando il letame della stalla (ùl ruud) che, con i carretti, veniva portato ai campi e distribuito sugli stessi. Sicuramente si sopportava meglio l’odore non proprio gradevole: è dei giorni scorsi la notizia che analoga operazione, effettuata nei nostri territori, ha suscitato vibrate proteste da parte degli abitanti. Abbiamo dimenticato che questo odore è naturale al contrario di tutti gli asettici prodotti chimici che poi “mangiamo”.
I campi così concimati venivano arati anche se parecchi proprietari di fondi imponevano l’uso della vanga, assai più faticosa, ma che pareva più indicata ai fini della resa del raccolto. Successivamente il terreno veniva seminato: sino a pochi decenni or sono ancora a mano, successivamente con l’avvento delle macchine industriali, si utilizzava – e si utilizza – la seminatrice meccanica.

L’altra grande fatica, anche se più gioiosa se l’annata era stata buona, era costituita dalla raccolta dei frutti tipici di questo periodo: dall’uva alle rape, dai porri ai cavolfiori e verze, dalle mele alle pere. Un bellissimo proverbio ci ricorda questi momenti : “A san Simun (28 ottobre) se strepa la rava e ul ravun”.
Per la raccolta dell’uva non basterebbe un libro per raccontare la storia delle viti nei nostri territori: le mappe del catasto teresiano (1722 circa) indicano l’ampiezza del terreno dedicato a questa cultura e sulla quale ritorneremo con un articolo ad hoc.
In ogni caso, la raccolta dell’uva, così familiare da noi, alla fine dell’Ottocento conobbe una grande crisi che mise in discussione ed eliminò praticamente questa attività: malattie quali la peronospera e la fillossera distrussero praticamente tutti i nostri vigneti.
Ottobre è anche il mese di san Remigio (I° ottobre) e di san Francesco (4 dello stesso mese): san Remigio era un vescovo francese che convinse Clodovero – re dei Franchi – a convertirsi al cattolicesimo. L’inizio della scuola allora era il primo ottobre e la coincidenza della festa di Remigio fece sì che gli scolaretti della prima elementare fossero chiamati “remigini”.

L’affluenza scolastica dei nostri nonni non era poi così elevata e, per i fortunati che potevano partecipare, alle volte aveva una “cadenza stagionale”: era cioè legata all’andamento dei lavori dei campi ed alle conseguenti necessità di ulteriori braccia, foss’anche di quelle dei piccini. I contadini annettevano grande importanza allo studio ma le dure necessità familiari imponevano, sovente, delle scelte e questo loro pensiero è ben sintetizzato in un proverbio che, forse, dovremmo leggere a scuola ai nostri ragazzi: “Chi tropp el studìa matt el diventa, ma se te studìet no te portet la brenta” (Chi studia troppo diventa matto ma se non studi fai una vita dura, porti un carico – la brenta appunto – sulle spalle).
San Francesco invece non ha avuto, quanto a culto, una grande diffusione presso le nostre cascine: forse il Poverello d’Assisi era rammentato quanto si vedevano i mendicanti ma non risulta quasi mai affrescato sui muri delle nostre cascine. Anche se un proverbio rammenta la sua figura: “Per san Francesch ul pincett l’è chì bel fresch”, cioè il pettirosso arrivava in pianura dalla montagna.
Un altro proverbio relativo alle allodole citava: “A san Simun lodul a montun” cioè per san Simone le allodole erano un gran numero.
Ai giorni nostri, purtroppo, questi proverbi andrebbero rivisti perché gli uccelli descritti sono decisamente diminuiti.

Cristina Volonte' (2004)